DECRETO LEGGE E MAGISTRATI IN TIROCINIO ORDINARIO

Convegno Autonomia e Indipendenza – Roma 25 settembre 2016

Approfittando dell’incontro di quest’oggi si vogliono portare all’attenzione dei presenti ed particolar modo dell’On. Ministro Orlando, del Vice Presidente del CSM Legnini e dell’On. Vietti, alcune riflessioni critiche sulle modifiche previste in tema di giustizia dal recente D.L. 168/2016.

La scelta di far esporre tali riflessioni ad un magistrato di prima nomina non vuole affatto circoscrivere gli aspetti problematici alla parte più giovane della magistratura, certamente la più colpita (soprattutto dall’innalzamento da tre a quattro degli anni di legittimazione per i trasferimento) ma non l’unica a subire gli effetti negativi delle modifiche normative.

Ebbene, occorre rilevare innanzitutto come la tecnica normativa utilizzata, quella della decretazione d’urgenza, non solo pone problemi di legittimità costituzionale ma stride fortemente con la delicatezza della materia su cui va ad incidere, la quale merita ponderazione ed analisi soprattutto in punto di ricadute pratiche legate all’entrata in vigore del provvedimento.

Nel merito, va ribadita in primo luogo (come già del resto avvenuto da parte dell’Anm nell’audizione in Commissione Giustizia della Camera, il 15 settembre scorso) la contrarietà all’innalzamento da 3 a 4 degli anni di legittimazione, soprattutto per i magistrati di prima nomina. Ferma e netta è la critica a tale modifica per evidenti e non trascurabili ragioni non solo di vita personale e di percorso professionale, ma anche e soprattutto di inutilità e infruttuosità ai fini dell’ottimizzazione del servizio Giustizia cui la modifica vorrebbe tendere.

Le ragioni sono evidenti e già sono state ribadite in sedi più o meno istituzionali:

  • il termine dei tre anni è soltanto virtuale, essendo di fatto quattro (a volte anche di più) gli anni necessari per l’effettivo trasferimento, con eventuale posticipato possesso disposto dal Ministero. Si porrebbero peraltro, come già da altri rilevato, eventuali problemi di compatibilità costituzionale alla luce del principio di inamovibilità di cui all’art. 107 Cost., le cui regole risulterebbero modificate prima del compimento del termine di legittimazione triennale in corso; al di là della netta contrarietà all’aumento di un anno, è evidente come sia in ogni caso necessaria una disciplina transitoria che tenga ferma la legittimazione triennale per le situazioni in corso e fissi la vigenza della nuova norma per il futuro, da una certa data in avanti.
  • il principio generale del legittimo affidamento non è bilanciabile in questa occasione con altri principi, non potendo esso soccombere di fronte a proclami di miglioramento del funzionamento della Giustizia che in realtà si pretenderebbe di realizzare con misure non effettivamente idonee a perseguire lo sperato miglioramento.
  • con estrema franchezza, la coperta è troppo corta: servono più magistrati e quindi più concorsi. Allungando a quattro anni il termine di legittimazione nulla migliorerebbe e numerosi sono gli esempi concreti derivanti dall’esperienza diretta, legati a realtà giudiziarie in cui la mobilità dei colleghi è elevatissima e, si badi, non a causa del termine di legittimazione di tre anni, ma a causa del primo e fondamentale problema da risolvere: la cronica scopertura degli organici. Si pensi soltanto a interi ruoli che rimangono scoperti perché magari vi è il passaggio di colleghi dal settore civile a quello penale e viceversa, o dal primo al secondo grado. Una più adeguata copertura degli organici limiterebbe questa intensa mobilità, anzi la ridurrebbe ai minimi termini garantendo la stabilità degli uffici giudiziari. Non può pertanto condividersi la motivazione della Commissione ministeriale presieduta dall’On. Vietti laddove la modifica da tre a quattro anni si ritiene opportuna “ai fini di promuovere la continuità e la funzionalità degli uffici”. Non è questa la strada: si deve aspirare al concomitante effetto di misure riguardanti piani diversi:
    • partendo dall’aumento dei magistrati in servizio negli uffici giudiziari;
    • da una ragionata revisione delle piante organiche, essendo evidenti i casi (come i piccoli Tribunali di Sicilia), in cui l’organico è manifestamente inadeguato rispetto alle esigenze dei ruoli, o casi in cui all’opposto l’organico è palesemente sovradimensionato;
    • dall’aumento del personale amministrativo, necessario ausilio per i magistrati sempre più soli nell’esercizio delle mille incombenze quotidiane;
    • passando per modifiche legislative in grado di velocizzare effettivamente i processi (basti solo pensare alle regole sulla rinnovazione del dibattimento penale in caso di mutamento dei membri del collegio giudicante, regola peraltro assente in tema di reati di mafia; l’estrema mobilità poc’anzi riferita è tale in quelle realtà giudiziarie da comportare il mutamento del collegio anche tre volte in un solo anno);
    • passando ancora per incentivi di tipo economico per chi sceglie di rimanere nelle sedi cosiddette disagiate, o ad un aumento dei punteggi aggiuntivi già previsti (va sottolineato a riguardo come l’innalzamento a quattro anni del termine di legittimazione svuoterebbe in maniera del tutto irrazionale la previsione di benefici ex legge n.133/1998 previsti a fronte del termine quinquennale, ben sapendo che quattro anni nei fatti diventano almeno cinque per l’effettivo trasferimento),
    • fino ad arrivare ad ipotizzare incentivi di tipo previdenziale per chi rimane più dei tre anni previsti, misura ancor più apprezzabile se si considera che dopo la riforma dell’ordinamento giudiziario che ha strutturato il concorso come un concorso di secondo grado, l’ingresso in 3 magistratura si è posticipato nel tempo e difficilmente i nuovi magistrati potranno raggiungere il massimo contributivo entro i 70 anni di anzianità.

In buona sostanza la sola strada seriamente percorribile è rendere appetibili le sedi per le quali si sta sperando di garantire stabilità allungando i termini di legittimazione. La modifica del termine di legittimazione, al contrario, operando una sorta di eterogenesi dei fini rende ancor più complicata la copertura delle sedi meno ambite, per le quali ragionevolmente nessuno farà più domanda, esclusi ovviamente i M.O.T. che di fatto sono destinati d’ufficio.

Vi è il concreto pericolo che vi saranno a breve uffici giudiziari con organici composti solo da magistrati di prima nomina, impedendo così la trasmissione dei saperi dai più anziani ai più giovani, necessaria per formare degli ottimi magistrati.

Vorremmo proporre provocatoriamente al Vice-Presidente Legnini, all’On. Vietti ed al Ministro Orlando di dedicare una giornata alla visita dei Tribunali di frontiera, parlando direttamente con colleghi che compiono quotidianamente atti eroici come udienze in più tribunali nella medesima giornata (pubblici ministeri d.d.a.), udienze monocratiche con anche 103 fascicoli sul ruolo, o con colleghi M.O.T. che a soli 5 mesi dall’entrata in servizio hanno dovuto presiedere collegi di processi di ‘ndrangheta (chiaramente con giudici a latere ancor meno anziani) o ereditare ruoli da 2000-3000 fascicoli civili. Queste situazioni, ai limiti del collasso giudiziario, non si risolvono allungando forzosamente i tempi di permanenza in un ufficio.

In altre parole, non si otterrà ciò che si spera di ottenere in astratto con un piccolo tratto di penna che ha modificato l’art. 194 Ord. Giud. Non vi è nessuna razionalizzazione del funzionamento degli uffici giudiziari, le cui carenze croniche non verrebbero affatto risolte ma soltanto peggiorate e procrastinate.

E’ evidente come quanto sinora detto vale non solo per i magistrati di prima nomina ma per tutti i magistrati in servizio anche in sedi successive alla prima scelta, essendo loro diritto rivendicare il sacrosanto principio del legittimo affidamento, di generale applicazione, ed essendovi plurime variabili umane e professionali anche nelle successive scelte delle sedi.

Vi sono inoltre ragioni personali di vita, frustrate dal mutamento in corsa delle regole su cui si faceva per l’appunto “affidamento”, sulle quali già ha inciso la circostanza (a volte dimenticata) per cui oggi l’ingresso in magistratura non avviene più a 24 anni, dopo aver conseguito una laurea quadriennale, ma avviene a 30-32-34, dopo un percorso universitario e post-universitario che ha allungato notevolmente i tempi dell’entrata in servizio.

L’unica effettiva e concreta soluzione, pertanto, è coprire gli organici dei magistrati in servizio, e quindi lo svolgimento di nuovi concorsi, cui affiancare un razionale riordino delle piante organiche. Soltanto quando le carenze di organico saranno azzerate o quantomeno sensibilmente attenuate, e considerando un efficace riassetto della geografia giudiziaria (si pensi a titolo di esempio all’accertato sovrannumero dei P.M. a Palermo ed al sottodimensionamento della Procura di Catanzaro con 18 sostituti per ben sette circondari, con organizzazioni di ‘ndrangheta 4 di prim’ordine), avrà un senso discutere di possibili modifiche migliorative del servizio che quotidianamente cerchiamo di garantire alla collettività nonostante le strutturali e frustranti carenze organizzative.

Modifiche di tal fatta, effettuate senza tener conto da un lato dell’inefficacia rispetto all’obiettivo proclamato dall’altro delle esigenze di vita di chi si vede cambiare in corsa le regole del gioco, umiliano il sincero entusiasmo di cui ci sentiamo portatori e ci appaiono meri simulacri di un apparente efficientismo.

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